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Cie di Ponte Galeria, discarica umana di clandestini ad alto potenziale esplosivo

Il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio denuncia il sovraffollamento del Cie di Ponte Galeria. Solo negli ultimi giorni il numero degli ospiti è salito da 246 a 319. Si avvicina così pericolosamente il limite massimo di capienza di 330 unità. A rischio le condizioni sanitarie di così tante persone in spazi ristretti, per l'assessore regionale Nieri il centro sta diventando "peggio della galera"

Al collasso il Cie di Ponte Galeria. La struttura di permanenza provvisoria per gli immigrati irregolari, più volte nel mirino delle critiche per le pessime condizioni di reclusione,  rischia di precipitare con la recentissima entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza (94/2009) che allunga fino a 6 mesi la permanenza nei Cie (Centro Identificazione ed Espulsione) degli immigrati clandestini, “in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dei paesi terzi”.

Ancora una volta a denunciarne il sovraffollamento è il Garante dei Diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni secondo cui “nei giorni scorsi, un immigrato marocchino senza documenti è stato portato a Regina Coeli perché a Ponte Galeria non c’era posto”. 

Solo negli ultimi venti giorni, dall’annuncio del giro di vite in materia di immigrazione, il CIE di Ponte Galeria, il più grande d’Italia, ha visto salire la sua popolazione da 246 a 319 ospiti (175 uomini e 143 donne) a fronte di una capienza tollerabile di 330 posti. Per la maggior parte si tratta di cittadini nordafricani in attesa di essere rimpatriati. Una situazione di violazione dei diritti umani più volte denunciata, dovuta all’alta concentrazione di etnie diverse: oltre ai maghrebini e nordafricani si contano algerini, tunisini, nigeriani, marocchini, rom nati in Italia, albanesi e palestinesi. “Sono molti i rischi di ordine sanitario legati alla presenza di tante persone di estrazione economica e sociale diversa in spazi ristretti, per un tempo di recente allungato per legge da 60 fino ad un massimo di 180 giorni.”, ha dichiarato il Garante dei Detenuti.

Anche l’ assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, in una visita di poco tempo fa, ha definito il Cie una struttura peggiore della galera, un girone dantesco dove alla privazione della libertà si aggiunge la totale assenza di regole e diritti, primo fra tutti quello a un dignitoso trattamento sanitario di cui dovrebbero godere i reclusi, che peraltro non si sono macchiati di alcun reato se non appunto, quello appena introdotto, di clandestinità. Affermando che la Regione Lazio si sarebbe battuta per garantire almeno la salute di chi vi è rinchiuso: “Presto chiederemo di aprire un tavolo affinché si assicurino le cure del servizio sanitario regionale nel Cie sulla base del principio della universalità delle prestazioni mediche.”.

Il picco di caldo ferragostano è un supplemento di pena per gli extracomunitari di Ponte Galeria,  a cui si  sommano il sovraffollamento, le ferie degli operatori, i lunghi tempi di attesa per ottenere i colloqui con le ambasciate di origine, lo smembramento dei nuclei familiari al momento dell’arrivo nei settori maschile e femminile con evidenti problemi di convivenza. “Il vero equivoco di fondo è che i C.I.E. sembrano sempre di più centri di reclusione che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, sono peggiori delle carceri. - spiega Marroni – A Ponte Galeria, ad esempio, non c’è un grande appoggio esterno del volontariato che è una delle cose buone che si ritrovano in carcere. Perciò è assai facile che possa prendere il sopravvento la disperazione. Auspico che le istituzioni si adoperino per disinnescare al più presto questa situazione potenzialmente esplosiva”.

La drammaticità della situazione umana all’interno della struttura è meglio documentata nei social network di informazione dal basso come Indymedia.org, dove un gruppo che si firma: “Antirazziste e antirazzisti” ha dichiarato che: “Dai contatti con alcune donne detenute si è appreso che molte di loro rifiutano il vitto come protesta per le insostenibili condizioni igienico-sanitarie (topi nelle docce, lenzuola di carta che non vengono mai sostituite, materassi buttati per terra come soluzione al sovraffollamento delle celle) e, soprattutto, per il cibo avariato distribuito come unica forma di alimentazione.”.











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